Il Papilloma Virus o HPV si trasmette principalmente per via sessuale- attraverso rapporti sessuali anali, orali e vaginali- ma anche con il semplice contatto con cute o mucose, quindi è possibile anche in caso di assenza di penetrazione.
Il Virus colpisce entrambi i sessi: in Europa più di un terzo dei cancri correlati all’HPV è a carico dell’uomo.
L’infezione da HPV (dall’inglese Human papilloma virus) è molto frequente nella popolazione.
La stragrande maggioranza delle infezioni è transitoria e asintomatica, ma se l’infezione persiste, può manifestarsi con una varietà di lesioni della pelle e delle mucose, a seconda del tipo di Hpv coinvolto.
Alcuni tipi di HPV sono definiti ad alto rischio oncogeno poiché associati all’insorgenza di neoplasie. Il tumore più comunemente associato all’HPV è il carcinoma del collo dell’utero (cervicocarcinoma o carcinoma della cervice uterina), che è il primo cancro a essere riconosciuto dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) totalmente riconducibile a un’infezione.
Inoltre, l’HPV anche nell’uomo può causare alcuni tumori come quello del pene, dell’ ano e quello dell’orofaringe.
Come proteggersi?
Prima di tutto utilizzando correttamente il preservativo, anche se il rischio di trasmissione non è totalmente eliminato dal momento che il virus può infettare anche la cute non protetta dal profilattico.
Inoltre, oggi sono disponibili in commercio due vaccini contro le infezioni da HPV altamente efficaci che prevengono l’infezione. Uno protegge contro 2, e l’altro contro 4 sierotipi di HPV (bivalente e quadrivalente). Il vaccino quadrivalente con i 4 sierotipi è l’unico ad offrire una protezione contro le lesioni non tumorali (i condilomi genitali causati dai tipi HPV 6 e 11) ed è l’unico a essere indicato anche per gli uomini.
Entrambi i vaccini hanno dimostrato un’elevata sicurezza e tollerabilità, nonché l’efficacia anche a lungo termine contro le lesioni.
Oggi il vaccino è disponibile gratuitamente sia per le donne che per gli uomini.
Come sapere se lo si è contratto?
L’HPV è spesso asintomatico, a volte però può manifestarsi tramite condilomi ovvero delle escrescenze della cute o delle mucose di colorito roseo molto comuni, che possono essere rimosse attraverso la crioterapia, la laser terapia o la rimozione chirurgica.
Per rilevarne la presenza, per le donne esiste, oltre alla colposcopia, l’HPV test, un test molecolare che ricerca il Dna di HPV ad alto rischio oncogeno, che si ritiene oggi molto più efficace del pap test nel prevenire i tumori invasivi del collo dell’utero.
Per i maschi, la mancanza di esami di screening come il PAP test nelle donne e l’assenza spesso di manifestazioni cliniche, rendono molto difficile il riscontro dell’infezione. Per la diagnosi è fondamentale un’accurata visita medica e, in alcuni casi, esami specialistici, come la balanoscopia.
Se si sospetta di aver contratto l’HPV (noi stessi o il nostro partner) è utile recarsi appena possibile dal proprio medico specialista e informare il proprio partner perché possa fare lo stesso.
L’HPV, infatti, specie se non curato può avere gravi conseguenze, non solo immediate, anche sulla fertilità femminile e maschile, sul legame con la quale in particolare sono attualmente in corso diversi studi.
La clamidia è un’infezione sessualmente trasmissibile molto diffusa, causata da un batterio chiamato Chlamydia trachomatis.
Può essere contratta sia dal genere maschile, sia dal genere femminile, a qualsiasi età.
Come si trasmette?
Generalmente, si trasmette attraverso rapporti sessuali anche non completi (vaginali, anali e orali).
Esiste inoltre la possibilità di trasmissione anche durante il parto: una donna gravida infetta può passare al neonato l’infezione, che si manifesta come un’infiammazione agli occhi e all’apparato respiratorio. La clamidia è, infatti, una delle prime cause di congiuntivite e di polmonite nei neonati.
Quali sono i sintomi?
La clamidia è asintomatica nella grande maggioranza dei soggetti infettati, le stime parlano di sintomaticità in oltre il 70% dei casi nei quali è la donna ad essere infetta e nel 50% dei casi in cui è l’uomo ad aver contratto l’infezione.
Le eventuali manifestazioni cliniche compaiono dopo una-tre settimane dall’infezione.
Nelle donne, il batterio infetta la cervice e l’uretra, causando perdite vaginale anomale o una fastidiosa sensazione di irritazione. L’infezione si espande in forma settica, causando in alcune persone dolori addominali al basso ventre, alla schiena, nausea, febbre e perdite ematiche anche al di fuori del ciclo mestruale. Dalla cervice, l’infezione può eventualmente diffondersi al retto.
Negli uomini, i sintomi possono manifestarsi con secrezioni o sensazione di irritazione e prurito. Raramente, si hanno anche infiammazione, ingrossamento e dolore ai testicoli.
Se trasmessa attraverso un rapporto anale, la clamidia può infettare il retto e provocare dolori, perdite e sanguinamenti. Se trasmessa attraverso un rapporto orale, può infettare la gola.
Come si diagnostica?
La clamidia viene diagnosticata attraverso un esame di laboratorio che può essere effettuato attraverso il prelievo di tessuti infetti (tipicamente il tampone vaginale) o con un campione delle urine.
Per rispondere alle necessità di una diagnosi rapida e all’esigenza di iniziare rapidamente un trattamento in caso di sospetto clinico, sono stati sviluppati alcuni test rapidi. Oltre al soggetto interessato, è necessario che anche tutti i partner sessuali vengano testati per la presenza del batterio.
Cosa devo fare se ho la clamidia? Si cura?
Se compaiono i sintomi o si ha il dubbio di aver contratto l’infezione, la prima cosa da fare è rivolgersi allo specialista che può avviare il processo di diagnosi e di conseguenza somministrare la terapia.
Data la natura batterica dell’infezione, la clamidia è trattabile con antibiotici.
Vanno trattati anche i partner sessuali, che devono quindi essere informati.
Il rischio di re-infezione in pazienti esposti a soggetti infetti è molto elevato, e aumenta notevolmente la possibilità che le conseguenze dell’infezione siano molto serie. Le persone infette dovrebbero astenersi da qualsiasi attività sessuale ed effettuare un nuovo test 3-4 mesi dopo la cura.
Di sicuro, è molto importante non sottovalutare eventuali sintomi.
Come prevenirla?
Date le possibili conseguenze derivanti da un’infezione “silente”, viene raccomandata una prassi preventiva con screening annuale per tutte le donne sessualmente attive sotto i 25 anni di età, o per le donne di tutte le età che cambino frequentemente partner sessuali, e per tutte le donne in stato di gravidanza.
L’uso di preservativi riduce notevolmente il rischio di infezione.
Ad oggi non è ancora stato sviluppato alcun vaccino.
Riassumendo:
Anche se le manifestazioni sintomatiche sono molto leggere, tanto da non essere spesso riconosciute dalle persone che ne sono colpite, le conseguenze a carico dell’apparato riproduttivo, specie femminile, possono essere molto gravi. Nella maggior parte dei casi l’infezione interessa le donne, soprattutto le adolescenti e le giovani sessualmente attive. Dal 10 al 40% delle donne con infezione non trattata sviluppano la malattia infiammatoria pelvica (pelvic inflammatory disease, PID) che può condurre alla sterilità.
Nel sesso maschile, l’infezione può interessare l’epididimo, potenzialmente interagendo negativamente con la produzione di spermatozoi, causando dolore e febbre. Il danno permanente sembra meno probabile, anche se negli ultimi anni alcuni studi segnalano una possibile correlazione tra l’infezione da clamidia negli uomini e sterilità. Rare le conseguenze più serie, come la sindrome di Reiter, una forma di artrite sieronegativa accompagnata da lesioni epidermiche e infiammazione agli occhi e all’uretra.
Se non trattata, l’infezione può progredire causando conseguenze sia a breve che a lungo termine, che possono, come i sintomi, rimanere “silenti”.
Nelle donne, la manifestazione più tipica dell’infezione è l’infiammazione pelvica: il coinvolgimento di tube, utero e tessuti circostanti e il processo di riparazione cicatriziale post infettivo, può comportare un danno permanente (l’occlusione tubarica è la conseguenza più grave), con dolore cronico, infertilità e possibilità di gravidanze extrauterine.
Le donne affette da clamidia hanno inoltre una probabilità di rischio di contrarre il virus dell’HIV cinque volte più alta della media.
Diverse ricerche hanno ormai dimostrato la presenza nell’ambiente di sostanze che mettono a rischio la fertilità, sia maschile sia femminile. Le sostanze inquinanti alle quali quotidianamente siamo esposti, oltre agli effetti nocivi ormai noti sulla salute nel suo complesso, possono provocare alterazioni nel sistema riproduttivo degli esseri viventi e sono presenti nei prodotti di natura alimentare e dispersi nell’ambiente in cui viviamo; in particolare, sembra siano le popolazioni dei grandi centri urbani quelle più esposte a questo rischio.
Nell’ambito di un progetto del Ministero dell’Ambiente è stata condotta la ricerca ‘PREVIENI‘ che ha rilevato la presenza nell’ambiente di sostanze denominate interferenti endocrini cioè sostanze esogene o miscele presenti nell’ambiente, negli alimenti e negli oggetti della vita quotidiana che alterano la funzionalità del sistema endocrino e riproduttivo.
Un disregolatore endocrino può agire in diversi modi interferendo con la funzione di numerosi recettori ormonali. Gli interferenti endocrini, nonostante le limitazioni di legge, si trovano in oggetti di uso comune come tappeti, vestiti, pentole antiaderenti e vernici, giocattoli, contenitori e dispositivi medici, tessuti, auto, pc e televisori, pesticidi, oli e prodotti industriali. Loro tracce si riscontrano anche negli alimenti, dove arrivano sia per contatto diretto, per esempio con i contenitori di plastica, sia per l’inquinamento degli ambienti in cui vengono allevati gli animali e coltivate le piante.
La relazione tra la salute del sistema endocrino e il consumo di alimenti contenenti pesticidi è stato studiato in numerose ricerche; tali elementi sono tra i principali ‘nemici’ della fertilità perché causano effetti nocivi sulla salute di chi vi è esposto, anche su intere popolazioni, agendo anche come interferenti (o perturbatori) endocrini.
I metalli pesanti, in particolare, si disperdono nell’ambiente o nelle acque, dove si degradano in micro particelle, rientrando nella catena alimentare.
Il rapporto di causa ed effetto tra inquinamento e infertilità era già stato evidenziato da studi condotti al Dipartimento di Endocrinologia dell’Università Federico II di Napoli e pubblicati sulla rivista specializzata ‘Human Reproduction‘; lo studio, condotto dal Professore Michele De Rosa, (Traffic pollutants affect fertility in men, Human Reproduction, Volume 18, Issue 5, 1 May 2003, pp 1055–1061,) si era concentrato sulla relazione tra la prolungata esposizione ai gas di scarico delle due e quattro ruote e l’eventuale alterazione della qualità del liquido seminale. Un team di ricerca spagnolo (Institut Marques, Barcellona) ha recentemente messo in luce un dato importante che riguarda la donna: circa l’80 per cento delle donne con ciclo regolare ha difficoltà nel concepimento a causa della propria riserva ovarica, il cui ‘stato’ pare essere legato anche all’esposizione degli individui a tossine e sostanze inquinanti prodotte nelle aree industrializzate.
Esistono dunque diversi studi condotti sulla fertilità, maschile o femminile, che mettono in luce il l’influsso negativo anche sulla salute riproduttiva dell’inquinamento ambientale.